Quanto sono sicure le nostre case? E’ vero che chi abita in un condominio ha più da temere rispetto a chi invece vive in una villa o in un’abitazione singola? Il terremoto di Amatrice, dimostrando la fragilità di edifici che in alcuni casi erano stati addirittura ristrutturati e adeguati e che si sono sbriciolati paurosamente, innesca nuove paure anche nella popolazione molisana, che con il terremoto ha fatto già i conti nel 2002 e che ha sperimentato il significato di parole come “adeguamento”, “miglioramento sismico”, ristrutturazioni, puntelli. Primonumero.it ha sottoposto alcuni quesiti al presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Campobasso Gaetano Oriente. 56 anni, laureato in Ingegneria Civile Edile all’Università "Federico II" di Napoli, esperto nel campo edilizio e strutturale, Oriente è stato eletto nel 2005 e per tre mandati consecutivi nel Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Campobasso, all’interno del quale riveste la carica di presidente dal 2007.
Ingegnere, partiamo da un dato di fatto. In Italia sembra che dopo ogni terremoto si faccia una legge nuova per costruire.
«E’ vero, ed è una storia antica, per così dire, che comincia quando il Regno di Napoli, subito dopo il sisma in territorio calabro-messinese del 1783, emanò le “Norme Tecniche ed edilizie per ricostruire le case distrutte”. Alla stessa stregua, a seguito di un terribile terremoto di Norcia dell’agosto del 1859, seguì un apposito “Regolamento Edilizio da osservarsi per le fabbriche del Comune di Norcia” con il quale per la prima volta fu operata una distinzione tra nuove opere ed opere esistenti da restaurare. In ogni caso la prima vera normativa che in Italia ha affrontato in maniera articolata tutto ciò che afferisce problematiche di sismicità è stata la Legge n.64 “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per zone sismiche”, che porta la data del 2 febbraio 1974 e che sicuramente rappresenta una “pietra miliare” per tutti quegli aspetti inerenti problematiche di natura sismica attinenti il mondo delle costruzioni e delle varie infrastrutture. A seguito di questa stessa Legge, a partire dal 1975, furono emanati una serie di Decreti, il primo dei quali denominato “Norme Tecniche per le costruzioni in zone sismiche”. Seguirono, a intervalli temporali, non regolari, una serie di ulteriori decreti, circolari, linee guida e istruzioni, in qualche caso anche a seguito di eventi tellurici, come ad esempio dopo il terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia e Basilicata».
In tempi più recenti c’è, nel 2003, l’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri fatta dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia.
«Esatto, un’ordinanza che ha sconvolto l’intero impianto normativo che in Italia si era consolidato da oltre 100 anni. In seguito, a valle di questa Ordinanza, dopo un transitorio D.M. del 2005, è stato pubblicato nel 2008 il decreto più recente, denominato “Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni”, entrato in vigore nel luglio del 2009, dopo il terremoto dell’Aquila. Questo Decreto è tuttora vigente nonostante dal 2014 sia prevista una sua radicale rivisitazione».
In Molise da quando è entrata in vigore la classificazione sismica dei vari territori comunali?
«Nella nostra Regione la stragrande maggioranza del territorio è stato classificato sismico a valle del terremoto dell’80 in Irpinia e Basilicata. La stessa Campobasso, comune capoluogo, è stato classificato sismico di seconda categoria proprio con un D.M. del 7 marzo 1981. Tra i comuni che invece non rientrarono in questa classificazione si potevano annoverare gran parte di quelli costieri, fatta eccezione allora soltanto per i comuni di San Martino in Pensilis ed Ururi che erano stati già dichiarati sismici in seguito ad un evento tellurico e che furono confermati tali con un Decreto del 9 ottobre 1981. Sempre in Basso Molise il Comune di Rotello, proprio con quest’ultimo decreto divenne sismico, mentre San Giuliano di Puglia, teatro del sisma 2002, soltanto a valle del terremoto del 2002, con un’apposita riclassificazione, è stato annoverato tra i Comuni soggetti a normativa specifica dal punto di vista sismico, come del resto, a valle di tale sisma, lo sono stati tutti i restanti Comuni della zona costiera molisana».
La situazione degli edifici molisani dal punto di vista della sismicità com’è?
«E’ evidente che sotto l’aspetto prettamente normativo soltanto gli edifici costruiti dopo i riferimenti temporali sopra citati potranno avere per certo caratteristiche, tanto di calcolo che costruttive, tipicamente rispondenti alle normative di tipo sismico e naturalmente a quelle normative sismiche specifiche vigenti all’epoca della loro realizzazione».
Dunque tutto quello che è stato costruito prima degli anni 80 è a rischio?
«No, non è corretto che passi questo concetto. Non è assolutamente detto che tutto il patrimonio edilizio esistente sul territorio regionale ed antecedente agli anni 80 non debba poter dare risposte comunque più o meno adeguate alle sollecitazioni provocate da un eventuale sisma. Bisogna tener conto di alcuni aspetti fondamentali, a cominciare dalle caratteristiche del sottosuolo del sito ove sorge il manufatto edilizio, dall’epoca effettiva di realizzazione dello stesso, dalla tipologia dei materiali impiegati, dalla cura realizzativa o meno dei particolari costruttivi, che spesso e volentieri scaturiscono da semplici concezioni progettuali a costo anche non eccessivo, ma realizzati soprattutto attraverso la nota prassi della “buona regola dell’arte”».
Perciò come facciamo a sapere se le nostre abitazioni possono resistere a un terremoto?
«Se si domanda in che termini un edificio risponde bene ad un sisma e a che magnitudo di terremoto può resistere, beh, lo si può desumere soltanto in funzione di una serie di parametri relativi agli aspetti detti sopra. Ogni caso è diverso dall’altro».
Paradossalmente il fatto che ci sia stato un terremoto in Molise ha migliorato la sicurezza generale degli edifici?
«La situazione in Molise rispecchia quella generale in tutto il Paese, con qualche piccolissimo vantaggio dovuto al fatto di aver comunque subito un terremoto quattordici anni addietro e rispetto al quale sono stati comunque effettuati tutta una serie di interventi, anche finanziariamente significativi, sul patrimonio edilizio esistente, che in qualche modo, laddove si è intervenuti, necessariamente hanno contribuito per lo meno ad un “miglioramento” delle condizioni iniziali dello stesso patrimonio edilizio».
Cosa significa esattamente miglioramento sismico di un edificio?
«Un intervento di miglioramento sismico sta a significare far raggiungere alla struttura interessata dall’intervento un grado di sicurezza sicuramente superiore a quello posseduto dalla stessa struttura prima dell’intervento, ma che chiaramente non raggiunge il grado di sicurezza previsto dalla normativa tecnica vigente per un intervento di adeguamento».
L’adeguamento invece cos’è?
«Rappresenta appunto una serie di interventi strutturali che fanno in modo che la struttura diventi pienamente rispondente al livello di sicurezza conforme alla normativa tecnica vigente al momento dell’intervento. Meglio puntualizzare peraltro che l’intervento di adeguamento sismico non è in genere obbligatorio per la normativa tecnica vigente, ma diventa obbligatorio soltanto in alcuni particolari casi come: sopraelevazioni di edifici esistenti, quando si intende ampliare la costruzione esistente in maniera non autonoma dal resto dell’edificio, quando si apportano variazioni di classe e/o di destinazione d’uso che comportino un incremento di carichi in fondazione superiori al 10 per cento, quando si modifica completamente il modello strutturale dell’edificio».
E’ vero che grossi problemi di sicurezza si trovano nelle ristrutturazioni fatte nel corso degli anni?
«Probabilmente in alcuni casi, nel corso di interventi di ristrutturazioni, pesanti o leggere che siano state, magari anche direttamente gestiti dalle committenze con gli esecutori materiali degli stessi e quindi in assenza delle dovute autorizzazioni e senza il coinvolgimento di tecnici esperti, si è potuta verificare qualche particolare condizione negativa per i fabbricati interessati da questi lavori»..
E’ vero che i condomini sono più a rischio delle ville o delle abitazioni singole?
«E’ una domanda alla quale, onestamente, non solo risulta molto difficile rispondere ma non pare sicuramente, al momento, il problema che deve preoccupare di più. Viene da se che una villa o un’abitazione singola potrebbe essere meno vulnerabile rispetto ad un condominio, non fosse altro che per una tipologia costruttiva in altezza sicuramente di differente portata: due, massimo tre piani per una villa o un’abitazione singola, a differenza di un numero di piani per un condominio anche pari a sei, sette e oltre».
Ed è vero a suo avviso che i condomini costruiti fra il 50 e il 70, durante il boom, sono più a rischio di altri?
«Questi fabbricati sono tutti sorti in epoca nella quale l’intera Regione non era ancora considerata sismica e quindi, al di là dell’assenza di una norma che non prevedeva di portare in conto particolari sollecitazioni anche di tipo sismico, non sempre gli edifici venivano realizzati con quegli accorgimenti tecnici in termini di particolari costruttivi che potrebbero risultare utili rispetto alla risposta dell’edificio ad eventuali scosse telluriche. Gli stessi edifici quindi potrebbero risultare anche particolarmente vulnerabili».
Esiste uno studio sulla sicurezza del patrimonio edilizio molisano?
«Un “chuck up” abbastanza attendibile lo possiamo estrapolare da un’indagine conoscitiva elaborata del Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri su dati Istat che, qualche anno fa, a livello nazionale, ha delineato una fotografia del patrimonio edilizio non certo edificante.
«Un “chuck up” abbastanza attendibile lo possiamo estrapolare da un’indagine conoscitiva elaborata del Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri su dati Istat che, qualche anno fa, a livello nazionale, ha delineato una fotografia del patrimonio edilizio non certo edificante.
Da questa indagine si arguisce che per il Molise, a fronte di circa 184.000 abitazioni complessivamente esistenti sul territorio regionale, il 24% sono state realizzate prima del 1919, il 12% tra il 1919 ed il 1945, l’11% tra il 1946 ed il 1961, il 13% tra il 1962 ed il 1971, il 16% tra il 1972 ed il 1981, l’11% tra il 1982 ed il 1991, il 7% tra il 1992 ed il 2001 e soltanto il 6% tra il 2001 ed il 2011. Soltanto il 24% di unità immobiliari è stato realizzato a valle della classificazione sismica della stragrande maggioranza dei Comuni molisani, ed addirittura ben il 76 per cento di abitazioni è stato realizzato prima della legge del 1974. Stiamo parlando chiaramente di percentuali che, al di là degli interventi di miglioramento, adeguamento o ricostruzione totale effettuati a valle del terremoto del 2002 e soprattutto all’interno del cosiddetto “cratere sismico” senza tener conto peraltroche una buona percentuale di ricostruzione post-sisma deve ancora vedere la sua conclusione, fotografano una situazione abbastanza complicata e rispetto alla quale devono necessariamente effettuarsi seri ragionamenti».
Qual è la percentuale di abitazioni a potenziale rischio sismico della nostra regione?
«Sempre dalla stessa indagine si evince che la percentuale di abitazioni a potenziale rischio sismico in Molise si attesta al 47%, così’ suddiviso per zona sismica: 11 per cento per zona sismica 1, con pericolosità maggiore, (43 comuni ove vi è un elevato rischio sismico), 30 per cento in zona sismica 2 (84 Comuni, tra cui anche il capoluogo, con rischio sismico medio), e appena il 6 per cento in zona sismica 3, che comprende solo 9 comuni ricadenti per di più nella zona costiera della Regione, con possibilità di terremoti anche forti ma comunque sufficientemente rari».
Come si può intervenire per rendere più sicure le abitazioni?
«Interventi di adeguamento del patrimonio edilizio sono sicuramente fattibili da un punto di vista tecnico e appaiono doverosi ed auspicabili nell’interesse di tutti. Naturalmente, come sempre, anche qui dovrà necessariamente prevalere il buon senso, valutando con la massima serietà e professionalità, caso per caso, il cosiddetto “limite di convenienza” o meno di un intervento di adeguamento rispetto, ad esempio, ad un abbattimento “tugur” e una successiva ricostruzione. La proposta non solo degli Ingegneri italiani ma di tutti gli Ordini e collegi aderenti alla cosiddetta “Rete delle Professioni Tecniche” è stata sicuramente quella di “curare” gli edifici malati ma, così come si fa con le persone, fare propedeuticamente delle opportune analisi valutative possibilmente con la istituzionalizzazione effettiva del fascicolo del fabbricato, una sorta di cartella clinica che permetterebbe di diagnosticare eventuali problemi e quindi successivamente di risolverli. Non bisogna dimenticare che, considerate le “condizioni al contorno” del nostro Paese che sono totalmente differenti da quelle di altri Paesi ugualmente afflitti da problematiche sismiche - e per condizioni al contorno mi riferisco soprattutto ad un patrimonio storico/culturale che non ha certamente scenari uguali in tutto il mondo -, in Italia risulta radicata una forte tradizione della conservazione. Mondo scientifico, mondo accademico, professionisti hanno sinergicamente elaborato nel corso degli anni tutta una serie di tecniche che sicuramente possono essere applicate e rendere sicuri anche quegli edifici più problematici».
La volontà politica secondo lei c’è?
«Me lo auspico, a questo punto. E’ la volontà politica a dover indirizzare la programmazione futura verso una poderosa manovra di messa in sicurezza dell’intero patrimonio edilizio italiano, prima attraverso una operazione di conoscenza, con studi di vulnerabilità che fotografino la reale situazione al di là di ogni previsione elaborata su base di indici Istat, poi con la programmazione di ingenti investimenti economici, naturalmente spalmati nel corso di due, tre o anche quattro decenni per una reale sostenibilità dell’operazione, investimenti che devono naturalmente essere canalizzati secondo le priorità, a cominciare dagli edifici pubblici, in particolar modo dalle scuole.
Si tratta di avviare un “Piano di Prevenzione” per il Paese attraverso la conoscenza del problema, il reperimento di risorse economiche, intervento normativo con finalità precise».
In che senso?
«Mi riferisco soprattutto all’introduzione di norme specifiche che possano andare a rendere possibili, per esempio, interventi anche su quei fabbricati a proprietà diffusa come i condominii dove oggi risulta molto difficile operare dovendo raggiungere il consenso da parte di tutti i condomini. Probabilmente qualcosina andrebbe fatta anche in merito al sistema dei controlli della Pubblica Amministrazione, che piuttosto che fare un controllo “ex ante”, dovrebbe provvedere con attenzione ad un controllo “ex post” onde verificare le azioni e non tanto la documentazione prodotta. E’ chiaro che l’eventuale formalizzazione di questo “Piano di Prevenzione” nazionale dovrebbe comportare l’istituzione di un organismo dotato di adeguati poteri, non solo in fase iniziale decisoria, ma anche in fase gestionale».